Descrizione
GIOVANNI SANGIORGIO MAZZA
Giurista - storico
L’avvocato Giovanni Sangiorgio Mazza fu un valente giurista e storico appassionato della civiltà adranita. Nacque in Adernò (oggi Adrano), il 12 maggio 1778 da una ricca famiglia di agricoltori. Laureatosi in giurisprudenza presso l’Università di Catania, si recò a Palermo per perfezionare i suoi studi. Nel1801 Ferdinando IV lo nominò giudice di Adernò e Biancavilla e in questa carica lo confermò Ferdinando I, quando con legge 16 aprile 1819 Adernò diventò capoluogo del circondario di cui facevano parte Biancavilla e i feudi di Aragona, Carcaci e Miraglia.
Quando il violento terremoto del 20 febbraio 1820 colpi Adrano, egli si adoperò attivamente nell’opera di soccorso e collaborò, anche con denaro proprio, con gli amministratori del tempo (Vincenzo Guzzardi, Domenico Reale Felice Spitaleri) per dare lavoro ai disoccupati edili e pavimentare le principali vie del paese. Fervente seguace della monarchia borbonica, lottò contro i promotori dei moti risorgimentali del 23 luglio 1820.
Sposò la nobildonna Domenica Bono Ardizzone, dalla quale ebbe cinque figli; Vincenzo, Luigi, Gaetano, Giuseppe e Francesco; quest’ultimo partecipò all’organizzazione delle squadre nei moti del 1848 e militò nelle file dei garibaldini,meritandosi una citazione dello stesso Garibaldi.
Mori a Catania il 31 dicembre 1838, a breve distanza dalla morte immatura della sua amata consorte; fu sepolto a Catania nella chiesa di S. Agata La Vetere.
Uomo pio e religiosissimo scrisse “La vita di San Giuseppe” e diversi testi giuridici:
- Trattato sul matrimonio
- Sulle competenze dei magistrati circondariali
- Alcune disposizioni della legge di espropria
- Regole e massime di diritto
L’opera che merita soprattutto di essere ricordata è la "Storia di Adernò", pubblicata a Catania nel 1820, frutto dei suoi approfonditi studi storici.
CARMELO SALANITRO
Professore - scrittore - martire della libertà
Una delle figure più alte della storia adranita fu il professore Carmelo Salanitro che sacrificò la sua vita per quei sentimenti di pace, di democrazia e di solidarietà, dei quali l’umanità, ancora oggi, ha tanto bisogno.
Nacque in Adernò il 30 ottobre 1894 da una modesta famiglia artigiana. Il padre, barbiere, riuscì con enormi sacrifici a mantenere agli studi i suoi cinque figli.
Frequentò le scuole elementari e il ginnasio in Adernò, il liceo classico ad Acireale, dove nel 1912 conseguì la maturità con ottimi voti, conseguì la laurea in lettere classiche presso l’Università di Catania il 10 dicembre 1919 e insegnò latino e greco al liceo classico di Adrano, Caltagirone ed Acireale.
Di formazione liberale e di educazione cristiana, il giovane professore si occupò anche di politica e nel 1920 venne eletto, assieme a padre Bascetta, consigliere provinciale, quale rappresentante del Partito Popolare di Adrano. La sua causa era quella stessa della povera gente, dei lavoratori senza libertà, di coloro che non traevano, come egli affermava “dalle loro fatiche quel pane quotidiano che tutti invochiamo la mattina, ma che molti, ohimè, non hanno assaggiato la sera”.
Salito il fascismo al potere, il Salanitro non rinunciò ai suoi principi democratici cristiani, anche se nel 1929 abbandonò il Partito Popolare per protesta contro i Patti Lateranensi. Sposò l’insegnante Geraci Giuseppina dalla quale ebbe un figlio, Nicola.
Nell’ottobre del 1934, avendo superato il concorso a cattedra, ritornò ad Acireale, dove ebbe l’incarico per l’insegnamento di latino e greco presso il liceo “Gulli e Pennisi”, e vi rimase fino al 1937.
Il professore Salanitro, alto di statura, imponente, di poche parole godeva di molta considerazione nell’ambiente scolastico per la sua preparazione ed era un insegnante intransigente perché sapeva che la crescita civile e sociale dei giovani passava solo attraverso una solida base culturale. “Il suo insegnamento”, come afferma il professore Cristoforo Cosentino, suo allievo e oggi Ordinario di Storia del Diritto Romano e Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania, “contribuì a farci comprendere che la vita non vale nulla senza libertà, che lo studio senza un ideale non serve, che la scuola deve essere un luogo nel quale, nobilmente e disinteressatamente, si cerchi di istillare nei cuori, oltre che la cultura, semi di bontà e germi di schiettezza’’.
Nel 1937 si trasferì a Catania, dove insegnò al Cutelli e di lì iniziarono le sue pene politiche inquanto antifascista.
Negli anni 1939-40, sconvolto dalla catastrofe della II guerra mondiale, porto avanti da solo una campagna propagandistica contro il nazismo e il fascismo, lasciando volantini nei locali pubblici, nelle cassette delle lettere, dentro lo stesso istituto e persino nei banchi degli alunni. In due volantini dattiloscritti si leggeva: ’’Catania 1940: Dio benedica le armi dei Belgi e degli Olandesi, che combattono in difesa della loro patria invasa’’; ’’Viva l’Italia, viva la libertà’’.
Il 15 novembre del 1940 venne arrestato dall’O.V.R.A., processato e condannato a 18 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Fu rinchiuso nel carcere di Civitavecchia e successivamente in quello di Sulmona negli Abruzzi. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il Salanitro fu consegnato dalle autorità fasciste ai Tedeschi e deportato, prima in Germania, a Dachau, poi in Austria nel campo trincerato di S. Valentino e , infine, in quello di Mauthausen, dove venne ucciso, assieme a tanti altri martiri, nella camera a gas nella notte tra il 23 e 24 aprile 1945, la vigilia della liberazione dell’Italia.
Un suo compagno di sventura Nino Micheli, sopravvissuto al massacro di Mauthausen così descrive nel libro “I vivi e i morti” le ultime giornate di vita del professore Salanitro: ” Sembrava un vecchio e non lo era. Per una crudele malvagità gli avevano portato via gli occhiali: non ci vedeva se non da vicino… Era coltissimo… Era un uomo di fede, nitido come un diamante, forte moralmente come una roccia. Quando nel 1940 lo arrestarono.. ebbe modo di provare la potenza del suo carattere, la sua dirittura morale e di suscitare ammirazione e stima fra i detenuti e i guardiani. Chiamava questo tribolato periodo tappa di un calvario che i posteri non conosceranno mai. Una cosa soltanto gli bruciava: non riuscire a tornare e non poter così obbligare il suo delatore ad ascoltare, in un’aula del suo Liceo, fitta di studenti, una sua lezione sull’onore e sulla viltà”.
Durante questi terribili anni, il nostro concittadino soffrì molto di nostalgia per la sua terra, ma sopportò le sofferenze con grande coraggio. Dal carcere di Civitavecchia (27 febbraio 1943) così scriveva alla madre: “Ho sempre cercato di vivere in pace con me stesso, motivi di gioia e di contentezza ho sempre attinto dall’interno della coscienza. Attraverso il grido, l’appello e il mondo della Coscienza, parmi che si rivela ed esprima la voce potente del Signore. Seguire i suoi chiari impulsi, obbedire ai suoi inderogabili precetti, ho sempre ritenuto stretto dovere dell’individuo che non vuole adagiarsi in una inerzia morale che è peggio della morte… Immensa la virtù del tempo, lenitrice di dolori e riparatrice di torti. Del resto, che cosa sono le nostre pene individuali nell’infinito quadro dei dolori e dei travagli con cui la gente di oggi costruisce per quella di domani un divenire un avvenire migliore e più giusto?”
L’alto livello culturale del professore Salanitro si evidenzia nei suoi due saggi che egli scrisse: “Omerica” con il sottotitolo di “Ideale di pace e sentimento del dolore nell’Iliade (pubblicato nel 1929 in Adrano) e “Attorno alle Georgiche virgiliane” (pubblicato a Caltagirone nel 1933). Da questi due scritti emerge la figura di uno studioso coltissimo che con prosa chiara, elegante e a tratti poetica, esalta i valori della giustizia sociale, del lavoro , della pace e della libertà contro ogni guerra e forma di dittatura.
Nel 1947 gli Adraniti gli dedicarono un monumento nella Villa Comunale.
Ci piace concludere questo breve profilo del nostro illustre concittadino con il suo pensiero ancora sulla scuola che si inserisce in quell’insieme di valori per i quali egli immolò la vita: “l’unica e vera istituzione nel mondo è stata sempre quella della Scuola. In ogni tempo, la Scuola, libera e indipendente, non asservita ad interessi e scopi particolari d’individui e di gruppi, nè appannata da falsi preconcetti o sviata da pretese rivelazioni, ha sollevato l’animo da infondati terrori e lo ha liberato da fallaci illusioni, ha rimosso e abbattuto artificiose e dannose barriere. E dalla Scuola sono partite e nella Scuola si sono concluse le Rivoluzioni…, le autentiche e vere e grandi Rivoluzioni”.
Ecco riportate qui di seguito alcune lettere di Carmelo Salanitro alla famiglia:
Alla Sorella Maria
Civitavecchia 22.6.1941
Mia carissima Maria, ho ricevuto la lett. del 6-VI (con acclusa quella di mia moglie) e la lett. del 13-VI ricevuta il 17, lo stesso giorno in cui era arrivata: la distribuzione della vostra corrispondenza, come vedi, avviene con grande sollecitudine. Anche la mia, da quanto mi hai scritto, impiega poco tempo. E ciò ci deve essere motivo di conforto e di gioia. Con piacere ho letto i pochi sgorbi dedicatimi da Nicola. Vi ringrazio delle cure che avete per mio figlio.
E vi prego caldamente di continuare ad assisterlo e a sorvegliarlo durante tutta la mia prigionia; assisterlo nel suo sviluppo fisico, perché cresca sano, robusto, e si abitui alla sobrietà e alla pulitezza ed educarlo, ora che tocca quasi i sei anni, bene, in modo da rafforzare nel suo tenero animo quei germi innati ch’egli possiede in gran copia. E avergli l’occhio in tutto, massime nel periodo dell’estate: tanto più che sua madre, a causa dei suoi studi, non può avere di lui tanta cura, quanta ne occorrerebbe. Dato che Nino ha assolutamente stabilito di venire a farmi visita, mi manderete con lui due paia di mutande estive: dico due paia, e non più; e preferibilmente di quelle più corte e di già in uso. Di altra biancheria non ho affatto bisogno, essendone fornito a sufficienza, tra quella che avevo portato con me da Catania e quella che ci vien data qui nel carcere. Direte a Nino che alla sua venuta dovrà riportarsi il soprabito, il vestito e altri effetti di vestiario che sono depositati nel magazzino del carcere. Io ho già fatto domanda per potere consegnare la roba di cui sopra; ma è sempre bene che lui stesso chieda alla Direzione del Carcere di poter riavere tuffi quegli oggetti che non mi servono e che a restare in magazzino si sciuperebbero. Ho piacere che finalmente al Comune avete un’ottima persona quale è il prof. Lo Curlo, di cui conservo eccellente ricordo fin dalla mia fanciullezza. Mi fu compagno di scuola in prima e seconda ginnasiale. E fin d’allora si distingueva per ingegno, volontà e bontà d’animo.
Anche io non avrei avuto discaro che il mio Nicola fosse stato colto dal morbillo, male inevitabile adesso che è piccolo. Infatti ti udivo dire che quanto più presto viene, tanto è meglio. Ad ogni modo speriamo che Iddio lo preservi fino a che io sia lontano et ultra. Lo affido con tutto il mio cuore alle Vostre cure materiali e spirituali. Da Anna due giorni fa ricevei una carissima cartolina. Io le avevo scritto giovedì scorso, 12; ma la mia lettera non poteva averla ricevuta, quando ella si è ricordata di me. A Nino direte che giovedì prossimo non gli scriverò come al solito, poiché prevedo che egli fra una dozzina di giorni non sarà più a Catania. Ricambio saluti ai parenti e agli amici e a quanti si ricordano di me. Coi più belli auguri ti abbraccio e bacio con grandissimo affetto tuo fratello.
Al figlio Nicola
Civitavecchia. 11-04-1942
Mio carissimo Nicola,
ho ricevuto e tengo in serbo la tua letterina del 7 marzo; e mi compiaccio dei progressi che vai facendo a scuola: abbi cura del libro di Pinocchio; esso, oltre a divertirti, formerà un oggetto di ricordo del tuo babbo, ………………A te, o mio piccolo Nicola, mando un abbraccio dove è racchiuso il mio animo. Tuo padre
Al Fratello Nino
C. Vecchia (Penitenziario) 14 Novembre 1942
Mio ottimo e diletto Nino, ò ricevuto la cartolina cogli auguri per me di tutti i familiari raccolti a Catania, le lettere 21-X e l-XI, la postale 23 u.s. (ti prego ancora una volta di rallentare un po’ nello scrivermi). La notizia del fidanzamento ufficiale di Maria mi ha riempito di giubilo, per quello che tu mi hai scritto sul suo fidanzato, che ha avuto la conferma degli entusiastici apprezzamenti espressimi in loro recenti lettere da Peppino e da Anna. Anche io avrei desiderio che gli sponsali fossero celebrati ad ogni costo entro l’anno e che pei relativi apparecchi esteriori non si tenga affatto conto dello stato mio, ma tutto si compia con la pompa consentita dalla situazione di guerra. Mio carissimo Fratello, domani si compiono due anni precisi da quando io, per l’avvenuto arresto, sono rimasto privato della mia libertà materiale; e, ciò nonostante, entro il mio animo non si accoglie né vi alberga la benché minima traccia di rancore, di fiele, di odio contro alcuno o contro alcuna cosa. Da 2 anni fo saldo scudo di me stesso ai colpi aspri che la sorte mi saetta, aspettando con dignità e con calma che la maligna cessi alla fine dall’ infierire implacata contro di me; e se talora ho avuto i miei momenti di abbandono e di abbattimento, ognora mi sono sempre rialzato ed eretto più fermo e più sereno di prima. Ho moralmente sofferto e dolorato, indicibilmente; ma sofferenze e dolori se hanno lacerato le più intime fibre dell’essere mio, sono entrati a fare parte indissolubile di quel patrimonio ideale della mia coscienza, dove si accolgono i sogni, le aspirazioni, le idealità accarezzati e coltivati con purezza di mente e con disinteressata fede negli anni della mia ardente adolescenza e gioventù pugnace: patrimonio a cui attingo nuovo conforto e vigore quando, fugacemente, l’amarezza ed il rimpianto acerbo dei dì che furono, mi invade e vince. Io ho lasciato ogni cosa diletta più caramente per servirmi della parola di Dante; ma pur traverso le sbarre mi è dato, seguendo idealmente il breve lembo di cielo intravisto, sentirmi strettamente congiunto, per l’aere infinito e luminoso, colla Madre mia amata e col mio infortunato piccolo Figlio, coi miei dolci Fratelli e le Sorelle mie dilette, colla cara e fida terra natia e con quella Scuola che colla famiglia si divideva il dominio del mio cuore. Pur di qui, dove ho dovuto provare come sa di sai lo pane altrui (consentimi quest’altra reminiscenza di Dante), la mente si aderge all’amore lei Bene e della Virtù, infiniti ed eterni, e lo spirito rompendo i fragili legami, spazia e naviga verso orizzonti senza confini e lidi più vasti e accoglienti e sereni. E non recrimino contro di me e contro questo mio cuore fatto di impeti, di slanci, di entusiasmi incontenibili, schivo di infingimenti ipocriti e di seducenti allettamenti aperto e schietto e del Vero non timido amico. E neppure mi lagno del mio duro Destino: per esso ho sperimentato la incrollabile intensa, grandezza e ricchezza di affetto dei miei consanguinei verso di me, per esso ho avuta dischiusa la sorgente amara, ma purificatrice del dolore, per esso infine mi sento più vicino al supremo Iddio, che ha occhi e cuore per tutti, ma più benigni e più pietosi con quanti hanno sofferto e penato. Non spedite pacchi fino a mio avviso: per ora non ho bisogno di nulla. Al cugino Giovanni scriverò appena potrò. Ringrazio Peppino Neri del gradito e gentile suo pensiero. Saluti a Carmela e a Turiddu. Baci ad Anna e ai bambini. A Te, i più teneri abbracci con tutto il mio affetto, tuo Carmelo.
Alla madre
Civitavecchia. 27-2-1943 (dal carcere penitenziario)
«Mia diletta Madre, ieri l’altro, giovedì, si compirono due anni precisi dal processo e dalla condanna mia e ciò nonostante, né il corpo è fiaccato, né è franto l’animo, la mercè dell’Iddio giusto e pietoso. Che cuore ho dovuto fare quando mi sono assiso sul comune scanno, come pure durante la fatale notte dal 15 al 16 dicembre, da Catania a Roma. Ma anche tra il tumulto del maggiore dramma del mio agitato vivere, nell’intimo del mio spirito non ha cessato mai di splendere la luce di una calma e di una mansuetudine, che è stata sempre la mia forza e il mio conforto supremo. Non mi rimproverare, se io ho potuto un momento obliare e trascurare la famiglia, non mi rinfacciare certa imprudenza e leggerezza per cui ho distrutto la mia posizione e perduto il posto e rovinato il frutto di decenni di sacrifici e di sforzi miei e dei miei genitori. In ogni fase della mia esistenza, fin da quando sedevo sui banchi della scuola e poi giovane e quindi uomo, mai ho fatto degli interessi materiali, o del denaro, e dello stato di vantaggi e comodi esteriori acquistato, la bussola delle mie azioni e dei miei sentimenti e pensieri. Ho sempre cercato di vivere in pace con me stesso, motivi di gioia o di contentezza ho sempre attinto dall’interno della coscienza. Attraverso il grido e l’appello e il monito della coscienza, parmi che si riveli ed esprima la voce potente del Signore. Seguire i suoi chiari impulsi, obbedire ai suoi inderogabili precetti ho sempre ritenuto stretto dovere dell’individuo che non vuole adagiarsi in una inerzia morale che è peggiore della morte e non diserta il suo posto e non rinuncia a soddisfare certe insopprimibili esigenze della personalità e dignità umana. Affaticarsi, travagliarsi senza cessa e senza stanchezza, rialzarsi, quando si sia caduti: ecco il ritmo del vivere, e mirare a qualcosa che trascenda le forme e i limti materiali. Immensa è la virtù del tempo, lenitrice di dolori e riparatrice di torti. Del resto, che cosa sono le nostre pene individuali nell’infinito quadro dei dolori e dei travagli con cui la gente di oggi costruisce per quella di domani un divenire e un avvenire migliore e più giusto? Io non mi lagno, se un giorno, ritornando alla vita esterna, dovrò ricominciare tutto da capo, rifacendomi dalla base. E dovrò, per campare, lavorare e sudare. A questo mi soccorrerà l’esempio di mio Padre morto sulla breccia e quello tuo. Tu mi desti la vita e, con enormi sacrifici facendomi studiare, mi fornisti quella cultura che è, specie in questo mio stato, la luce del mio spirito e il cibo del cuore mio. E non posso neppure ricompensarti; ma Iddio che tutto sa, a premio delle tue virtù, ti concederà, spero, di ritrovare e riavere il figlio disperso e smarrito, perché possa in parte pagarti il suo grande debito…».
PREVOSTO SALVATORE PETRONIO RUSSO
Sacerdote - storico - archeologo
Un personaggio di spicco di Adernò, nella seconda metà dell’ottocento, fu il Prevosto Salvatore Petronio Russo, storico, archeologo, poeta e socio di varie Accademie italiane ed estere.
Figlio di Vincenzo e Pietra Russo, nacque in Adernò il 15 settembre 1835. Frequentò il Liceo classico di Adrano e nel novembre 1853 entrò nel Seminario di Catania. Fu ordinato Sacerdote il 17 dicembre 1859 e il 26 settembre 1861 conseguì la laurea in Sacra Teologia, Diritto Canonico e Storia Ecclesiastica. Nel 1862 si recò a Roma come rappresentante del Capitolo Collegiale di Adernò e l’anno successivo divenne socio dell’Accademia dei Quiriti.
Nel 1866 fu nominato segretario del Cardinale Antonio Maria Panebianco e il 6 giugno 1870 fu ammesso nell’ Accademia dell’ arcadia con il nome di Osimbro Maratonio. Rientrato in Adernò il 31 agosto 1876 fu eletto Vice-Parroco della Chiesa Madre e contemporaneamente gli venne affidata la carica di Provicario Foraneo. Fra il 1901 e il 1908 collezionò medaglie, diplomi e molte nomine di Enti di Cultura e di Accademie,come la nomina di Ispettore Onorario alle Antichità per il circondario di Catania. Scoprì i ruderi di un’antica città che egli chiamò Simezia, denominata poi da Paolo Orsi ” Città siculo-greca del Mendolito”. Durante le epidemie di colera che nel 1887, 1911 e 1913 colpirono la città di Adernò, si distinse nell’opera di soccorso, guadagnandosi, assieme ai Sacerdoti Alfio Rapisarda e Vincenzo Bascetta, riconoscimenti di benemerenza da parte deI Sovrano e del Papa.
Morì in Adernò nel 1917.
Scrisse numerose opere tra le quali ricordiamo le più importanti:
- Della vita e del culto di San Nicolò Politi Eremita
- I Monumenti Preistorici in Adernò
- Illustrazione Storico - Archeologica di Adernò
ELENA MARANO
Pedagogista
Elena Marano, insegnante, educatrice e scrittrice, donna esemplare della prima metà del Novecento.
Nata da Matilde Parisi e da Giuseppe Marano a Catania il 14 luglio del 1891, rimasta orfana di entrambi i genitori, trascorse la fanciullezza in Adernò presso parenti da parte materna, i quali, apprezzandone l’intelligenza e l’entusiasmo per lo studio, la sostennero negli studi fino al conseguimento del diploma magistrale.
Dopo un biennio d’insegnamento a Biancavilla (1908-1910), Elena Marano, stabilmente residente in Adernò, insegnò interrottamente nelle scuole elementari adranite fino al 1958 (anno in cui andò in pensione), concretizzando un record didattico, chiudendo la sua carriera di maestra dopo “mezzo secolo” di attività. Le furono assegnate un Diploma di Merito ed una medaglia d’oro dal Ministero per la Pubblica Istruzione.
Donna eclettica partecipò attivamente ai comitati civici cittadini, fu preziosa collaboratrice del Comitato di soccorso adornese, durante l’epidemia colerica del 1911.
Seppe coniugare proficuamente l’attività di insegnante ed educatrice esemplare, con quella di scrittrice ed conferenziera, pubblicando saggi di storia e pedagogia e dimostrandosi ottima conferenziera su argomenti etico-didattici.
Risalgono al 1913 le pubblicazione di contenuto pedagogico:
- Dall’Emilio di G.G. Rosseau - libro II ( Catania-Stabilimento del Popolo)
- Esame critico del capitolo XVII della Didactia Magna di Jan Amos Komensky (Biancavilla -Tipografia - Marzagalli)
- Scuola ed educazione (Catania - Tipografia Modica - Mollica)
Fra le numerose conferenze ricordiamo:
- Educazione morale, civile e religiosa
- Mazzini e Gioberti
- La pratica del lavoro nelle classi IV e V
- Correggiamo la terminologia scolastica
Morì ad Adrano nel 1963.
ANTONINO LA MELA
Sacerdote - educatore
Don Antonino La Mela nacque in Adernò il 12 Dicembre 1899 da Nicolò e Concetta Garofalo.
Prima di entrare in seminario, frequentò l’Azione Cattolica del Rev. Giuseppe Carrà, nei locali di S. Francesco. Frequentò le scuole liceali del Seminario Arcivescovile di Catania, ma dovette interrompere gli studi a causa del servizio militare.
Durante il conflitto 1915/18, fu ferito al braccio da una granata austriaca e ricoverato in un ospedale torinese. Ebbe una medaglia al valore militare, dopo il servizio militare, fu riammesso nel Seminario di Catania e consacrato sacerdote il 26 Ottobre 1924.
Gli venne assegnata la Chiesa del Rosario da S. E. Cardinale Nava, il 2 Dicembre dello stesso anno.
Padre La Mela spese tutta la sua vita e le sue risorse fisiche, morali ed economiche, per la costruzione di oratori e di altri ambienti destinati per l’educazione cristiana dei fanciulli e dei giovani di diverse generazioni di studenti, operai e braccianti, senza distinzione di categorie sociali.
Vedendo aumentare sempre più il numero dei giovani seguaci, Padre La Mela in seguito realizzò quello che ulteriormente questa attività era stato sempre il suo sogno: “l’Oratorio - Associazione della Gioventù Cattolica - Sacro Cuore” inaugurato nell’Ottobre del 1925.
Una sola frase può racchiudere la vita di Padre La Mela: Apostolo della gioventù, denominato dagli adraniti “Il Don Bosco di Adrano“.
Il movimento giovanile aveva la sede teorica alla Matrice, ma di fatto vagava tra questa e la Chiesa di S. Francesco.
Con l’avvento di Padre La Mela l’oratorio venne separato dall’azione cattolica e si stabilì a S. Francesco.
Col nuovo anno l’azione cattolica fu trasferita al Rosario dove richiamò anche l’oratorio, ma in breve tempo i locali si rivelarono troppo ristretti, visto che il numero dei giovani, cresceva sempre più.
Grazie all’interessamento di Padre Bascetta e del Prevosto Branchina, venne acquistato anche il vasto cortile sottostante alla Chiesa. Il Rosario diventò così la fucina della nuova generazione. Don Antonino
La Mela partecipò al 2° conflitto mondiale come cappellano militare.
Finita la 2° guerra mondiale, rientrò in Adrano l’8 Agosto 1943, trovando la Chiesa danneggiata e l’oratorio completamente distrutto dai bombardamenti. Nonostante ciò non si scoraggiò, bussando ad ogni porta per chiedere delle offerte ai cittadini e l’aiuto degli amministratori. Riuscì così a ricostruire l’oratorio. Tramite l’interessamento di Don Sturzo presso l’Assessorato alla Regione si rese possibile ultimare i lavori. Nacquero così i nuovi locali destinati per l’accoglienza delle associazioni religiose, per il doposcuola, l’asilo infantile e il cinema parrocchiale. Non mancò, persino, di ringraziare tutti attraverso la diffusione dell’opuscolo da lui scritto: “Casa del Fanciullo Maria SS. del Rosario”, nel quale parlava anche di tutta la sua attività educativa.
Sistemati i nuovi locali, l’Apostolo della Gioventù, rivolse la sua attenzione per l’acquisto di un locale di campagna da utilizzare per il periodo estivo. Bussò a tal proposito alla porta della nobildonna Angelina Sanfilippo in Ciancio, madre di Domenico, direttore de “La Sicilia”. Costei senza farsi pregare, donò un grosso apprezzamento di terreno presso Volta di Raspo contrada (Feliciosa) a quota 1200 e grazie all’intervento di “un’ingegnere vecchio rosariano” Nino Santangelo, si approntò il progetto per un “Ostello della gioventù”. Memorabili furono le passeggiate in campagna, sempre a piedi, con percorsi che alle volte raggiungevano i 15 Km. Solo il coraggio e la fede del Don Bosco adranita poteva osare tanto, recandosi con frotte di ragazzi, che spesso sfioravano il centinaio, verso la vallata del Simeto o sulle balze dell’Etna fino alla grotta degli archi, alla base del vulcano. Frequenti le gite in altri paesi e città della Sicilia e dell’ Italia meridionale fino a raggiungere Napoli e Roma.
Padre La Mela passò gli ultimi anni della sua vita ricoverato nel “Cenacolo Sacro Cuore” di Biancavilla, seduto su una sedia a rotelle, quasi paralizzato.
Morì due anni dopo, il 3 Settembre 1976, dove era stato ricoverato come povero, dopo aver fatto dono alla Casa del Fanciullo e all’Oratorio del Rosario, dei vestiti che indossava.
Il 21 Dicembre 1992, in riconoscimento della sua operosa attività di educatore, in presenza del Provveditore agli Studi di Catania, del Vice-presidente della Provincia e di altre personalità, la scuola elementare del 2° Circolo Didattico di Adrano, fu intitolata “Don Antonino La Mela”, affinché non si dimenticasse in avvenire, quanta gioventù è stata, da lui, civilmente educata.
GIUSEPPE GUZZARDI
Pittore
Giuseppe Guzzardi fu un insigne pittore adranita, che amò e venerò la sua Adrano, onorandola con la sua affermazione artistica sia in Italia, che all’estero.
Giuseppe Guzzardi nacque in Adrano l’8 dicembre 1845 da Francesco Guzzardi Stracuzzi e dalla nobildonna Maria Piccione. Ebbe in patria le prime lezioni sotto il maestro Vincenzo Costa e ancora giovanissimo fece concepire belle speranze del suo valore nel disegno e nella colorazione, tanto che l’Amministrazione Comunale gli assegnò una borsa di studio che utilizzò per potersi mantenere a Firenze.
Nella città toscana frequentò la scuola di pittura la “Real Accademia di Belle Arti”, dove fu allievo di A. Ciseri, al quale il Guzzardi si legò con affettuosa amicizia e stima. Il soggiorno toscano determinò lo stile artistico e tecnico del Guzzardi, e permise all’artista di frequentare circoli e ambienti d’arte di grande rinomanza, ove ebbe modo di conoscere le correnti artistiche, che già predominavano in tutta l’Europa: il “realismo”, il “decadentismo” e la “scapigliatura”. Esordì nel 1874 alla Promotrice fiorentina con i quadri L’aspettativa e Ritratto. Nel febbraio 1876 espose all’Accademia di Belle Arti di Firenze la meravigliosa tela de’ La Vergine sul Golgota (Adrano, santuario di Maria SS. Ausiliatrice): opera a grandezza naturale influenzata dalla lezione tradizionalista di Ciseri, che riscosse critiche benevoli e giudizi talvolta lusinghieri.
Nel Conservatore del 7 Marzo 1876 in Firenze così si legge di questo quadro: «La Madonna sul Golgota del Guzzardi è quel celeste tipo dì beltà e di candore cui si è maggiormente ispirata in ogni tempo e luogo l’arte cristiana. L’armonia plastica di tutta la figura, l'insieme delle linee e dei contorni, delle pose, dei colori e della luce sta a denotarci un non comune amore alla naturalezza e una tendenza all’invenzione e alla spigliatezza».
Nel 1876 esponeva alla Promotrice di Belle Arti a Firenze un quadro rappresentante un Idillio campestre, la cui grazia e bellezza è veramente non comune. Fu giudicato il solo gioiello vero fra le tante perle false dell’esposizione. Per rispondere alle richieste del mercato il quadro fu replicato dall’artista, con piccole varianti, almeno tredici volte. Una copia, presentata all’Esposizione internazionale di Melbourne del 1881, fu acquistata dal governo locale per la Galleria d’arte moderna della città australiana insieme con il dipinto Momenti d’ozio.
Nel 1877 esponeva, sempre alla Promotrice di Belle Arti, Una scena del secolo XVII dove figurano moltissimi ritratti di persone del tempo, due dei quali sono il Guzzardi stesso e il fratello Rosario.
Tra il 1883 e il 1886 si recò spesso a Cutigliano, sull’Appennino pistoiese, per dipingere dal vero. Risalgono a questo periodo Ferriera presso Cutigliano, esposto alla Promotrice di Firenze nel 1884; Avanti la battaglia e Al pascolo, presentato alla Promotrice fiorentina del 1886 e premiato all’Esposizione internazionale di Colonia nel 1889.
Negli anni Ottanta ottenne la carica di professore onorario all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Tornò ad Adernò solo nel 1887 per portare alla popolazione colpita dal colera il proprio aiuto e quello degli amici del Circolo degli artisti, di cui era allora cassiere, collaborando con le squadre di volontari. Finita l’epidemia, rientrò in Toscana e realizzò alcuni dipinti d’ambiente siciliano, tra cui Turiddu e Carminuzza, presentato nel 1887 alla Promotrice e premiato con medaglia d’oro all’Esposizione internazionale di Colonia del 1889.
Dedicatosi da sempre al genere ritrattistico, donò un suo Autoritratto dipinto tra il 1888 e il 1889 alla Reale Pinacoteca di Firenze.
Alla morte di Ciseri, nel 1891, fu nominato presidente delle cerimonie commemorative e incaricato di pronunziarne l’elogio funebre. Ispirandosi a un dipinto del maestro nel 1900 realizzò L’apparizione di Gesù alla beata Maria Alacoque, commissionatogli per la Chiesa Madre di Adernò. Per la stessa destinazione realizzò, due anni dopo, Il pentimento della Maddalena, un dipinto di grandi dimensioni presentato fuori concorso all’Esposizione Alinari di Firenze del 1902.
Il 15 aprile del 1903 ebbe dalla moglie, la fiorentina Primetta Pagni, l’unico figlio, Rodolfo, divenuto in seguito pittore. Negli anni successivi, con il Il genio del Progresso, rappresentante l’allegoria dell’elettricità, vinse il concorso bandito dalla Camera di commercio di Odessa. Tra i dipinti dell’ultimo periodo (1912-13) si ricordano A mia moglie e il ritratto di Benedetto Sangiorgio
Morì a Firenze il 14 settembre 1914.
Nella Villa Comunale di Adrano lo ricorda un magnifico busto in bronzo del suo più caro amico, continuatore e discepolo, Angelo La Naia che, con le ammirevoli opere pittoriche e scultoree, aggiunge lustro alla gloria del Maestro. Così il La Naia descrive l’arte del Guzzardi:
“L’arte del Guzzardi appartiene alla scuola accademica realistica. Il nostro artista seppe insinuare negli umili soggetti delle sue composizioni buon gusto, sentimento, poesia, senza eccedere in un brutale, grossolano, superficiale realismo. La sua pittura, se anche qualche volta non ci rapisce e ci trasporta nelle regioni del sogno, tiene sempre però ad allettare i nostri sensi col colore e la naturalezza. Ebbe il tocco franco, solidità e perfezione nel disegno, equilibrio di masse, splendore di colorito”.
PIETRO BRANCHINA
Sacerdote - musicista
Figlio di due contadini Nicolò e Grazia Di Fazio, dimostrò fin da bambino una naturale inclinazione verso la musica, che imparò da autodidatta fino ad essere capace a circa 11 anni, di accompagnare all’organo i riti liturgici nelle chiese della sua città natale. Il suo primo suo maestro di musica fu il concittadino Vincenzo Cacia. Il Prevosto Salvatore Petronio Russo, colpito dalla naturale inclinazione di Pietro verso la musica, lo aiutò, nominandolo organista della Chiesa Madre. Maturato il desiderio di prendere la via del sacerdozio lo stesso Prevosto lo sostenne per farlo entrare presso il seminario arcivescovile di Catania a spese della curia cittadina. Studiò filosofia e teologia e proseguì gli studi musicali (armonia) con il maestro Filippo Tarallo già compositore ed organista del Duomo di Catania.
Nel 1896 fu nominato direttore musicale della cappella del seminario, e formò una schola cantorum a che annoverava circa 50 voci. Nel 1903 a Narni ricevette l’ordinazione sacerdotale.
L’arcivescovo di Catania Francica Nava, apprezzando molto il suo straordinario talento musicale, lo invitò a trasferirsi a Roma, presso l’Accademia di Santa Cecilia, dove compì gli studi di canto gregoriano con i maestri don Lorenzo Perosi e Rodolfo Kauzler e nel giugno del 1904 conseguì il Diploma dì Magistero in Canto gregoriano. In seguito si trasferì a Padova, dove, sotto la guida di Luigi Bottazzo, conseguì i diplomi di armonia, contrappunto, composizione ed organo.
Durante il soggiorno a Padova scrisse numerose composizioni che lo resero famoso in Italia e all’estero. Il 31 gennaio del 1905 entrò in contatto col Direttore della rivista americana “Santa Cecilia” che pubblicò due sue composizioni, apprezzate dalla critica per “la spontaneità e semplicità delle melodie”.
Nello stesso anno tornato in Sicilia venne nominato direttore musicale della cappella di San Giovanni Battista a Ragusa e nel 1910 organista principale del Duomo di Siracusa.
Fu Prevosto della Matrice di Adernò dall’11 aprile 1920 fino al 1937, quando per dissensi con il clero locale si ritirò ad Acireale, assumendo la direzione dell’Istituto San Michele.
Collaborò ai periodici Musica Sacra di Milano, Santa Cecilia di Torino, Bollettino ecclesiastico di Catania, e pubblicò diversi articoli storici, dottrinali e polemici sulla musica sacra, soprattutto in rapporto alla necessità della riforma desiderata dal motu-proprio di papa Pio X. Pubblicò inoltre una biografia di Luigi Bottazzo per la casa editrice milanese A. Bertarelli.
Morì ad Adrano l’11 febbraio del 1953 ed in occasione dei solenni funerali nella Chiesa madre, la Schola Cantorum da lui fondata a Catania eseguì molti suoi brani e la sua Missa Pro Defunctis.
La produzione musicale del Prevosto Branchina è assai variegata, abbraccia una vasta produzione di musica sacra che va dal gregoriano al mottetto, ai salmi, ai responsi, alle Messe ed a pezzi per organo. Compose più di 400 opere pubblicate da diverse case editrici musicali italiane (Milano, Bergamo, Bari, Catania) e straniere (Olanda, Spagna, Stati Uniti, Argentina, Brasile).
Tra esse ne ricordiamo solo alcune:
- Missa quotiescumque in honorem Divae Agatae (1910), dedicata a Papa Pio X
- Missa sanctae Luciae op.56 per coro a 2 voci uguali ed organo
- Missa in honorem Regina Pacis op.62 per coro ad una voce media ed organo, composta nel 1913
Le composizioni più suggestive e celebri del Maestro adranita restano:
- Sette Parole di Gesù Cristo in Croce, opera 190 per coro ed organo su versi di Pietro Metastasio
- Stabat Mater op. 109 per coro a due voci miste ed organo, composto nel 1938.
GIOVANNI PETRONIO RUSSO
Scienziato - inventore
Ad Adrano nacque ed operò una singolare figura di inventore - scienziato, Giovanni Petronio Russo, autore del progetto di una “locomotiva stradale”, vicina all’odierna automobile. Nato il 24 giugno del 1840, s’iscrisse, dopo il liceo classico, all’Università di Catania. Si dedicò alla sua vera passione, che erano le nuove scoperte scientifiche sull’applicazione dell’energia a vapore. Gli venne così l’idea di realizzare un mezzo di trasporto per gli spostamenti su strada e non solo su rotaia. Disegnò i vari pezzi di quella che chiamò “locomotiva stradale”, che brevettò nel 1883. La macchina, lunga m. 4,60 e larga m. 2.00, era sostenuta da solo tre ruote, una delle quali, la posteriore, dava il moto di locomozione e le altre, le anteriori, la direzione e veniva manovrata da un semidisco a quadrante, munito da una lancetta ad indice per misurare la gradazione delle curve.
Anche se altri scienziati inglesi e francesi o come il piemontese Bordino avevano già costruito prima di lui delle “locomobili”, Petronio Russo resta uno degli antesignani dei moderni mezzi di trasporto. La sua macchina fu presentata a Catania nel 1871 ed ebbe un notevolissimo successo di pubblico.
SIMONE RONSISVALLE
Scultore - poeta
A Licodia visse ben poco, lo ritroviamo, infatti, adolescente a Catania, dove frequentò la bottega di uno scultore in legno perfezionando la sua tecnica.
A ventitré anni tornò a Santa Maria di Licodia, in cui sposò la cugina Giuseppina Ronsisvalle e dall’unione nel 1904 nacque Luigi, il primo di sei figli.
Successivamente per motivi di lavoro si trasferì con la famiglia a Malta, in Tripolitania (Libia) e in Tunisia, dove ebbe l’occasione di partecipare ad alcune mostre d’arte raccogliendo numerosi consensi ed approvazioni.
Dopo aver partecipato alla Grande Guerra (1915-1918) venne ad abitare definitivamente in Adrano, dove aprì una bottega e svolse l’attività di scultore, dando prova di stupenda immaginazione e perizia nella creazione delle sue opere. Numerose furono le opere da lui realizzate che oggi fanno bella mostra nelle chiese e in alcune case patrizie di Adrano e Bronte; in seguito all’accrescersi della sua fama, infatti, furono i committenti stessi a pretendere che le parti decorative dei loro mobili fossero realizzate dal Ronsisvalle. Nel volgere di qualche anno (siamo alla metà degli anni Venti), il Ronsisvalle stringe amicizia con le personalità più interessanti di quel periodo, quali il pittore Giuseppe Guzzardi, l’archeologo reverendo Salvatore Petronio Russo e il musicista prevosto Pietro Branchina, e si afferma, definitivamente come scultore in legno, tanto da ricevere l’incarico dell’esecuzione della parte decorativa del cantiere più notevole del tempo, nel campo dell’ebanisteria, cioè gli scaffali dell’archivio della Matrice di Adrano.Numerose sono le sue opere, le principali e le più note si trovano nelle chiese di Adrano. Meritano di essere menzionate le sculture dell’Archivio e Tabernacolo della Cappella del Sacro Cuore nella Chiesa Madre, Cornice del dipinto di S. Luigi nella Chiesa Maria SS. del Rosario, il Talamo della Confraternita nella Chiesa del Cristo alla Colonna, il Tabernacolo nella Chiesa di S. Pietro.
Simone Ronsisvalle oltre che scultore di grande livello fu anche poeta. Durante il suo soggiorno in Tunisia, infatti, curò un giornale per l’edizione di una comunità di italiani nel quale pubblicò alcune poesie dialettali. Trasferitosi ad Adrano alcune sue raccolte di poesie dialettali furono pubblicate sul giornale “Il Simpaticone” di Paternò, il cui primo numero fu stampato nel secondo dopoguerra il 4 dicembre 1946.
I temi poetici del Ronsisvalle sono quelli della vita di ogni giorno, motivi autobiografici, sociali, temi d’amore, l’angoscia e la nostalgia di chi è lontano dal proprio paese.
Simone Ronsisvalle morì ad Adrano il 28 ottobre del 1960 all’età di 81 anni.
LUIGI PERDICARO
Giornalista - archeologo - storico
Il Prof. Luigi Perdicaro, giornalista e storico, si adoperò intensamente mediante articoli, conferenze e un’appassionata attività archeologica per far conoscere e divulgare la civiltà antica della sua città natale. Nato in Adernò verso il 1880/85, dal notaio Scipione Perdicaro, si laureò in Lettere e insegnò dal 1911 al 1943 prima nella Scuola Media e poi come docente di latino e greco nel Liceo-Ginnasio “G. Verga” del paese. Sposò Maria Tricomi e dal felice matrimonio nacquero tre figlie, Maria, Italia e Vittoria.
Il Prof. Luigi Perdicaro seppe inculcare ai suoi allievi l’amore per la patria, per la storia antica e l’archeologia adranita e il Prof. Saro Franco, suo allievo, lo ricorda come” insegnante a volte rigoroso, ma mai cattivo, a volte fraterno”.
Appassionato di archeologia, creò nell’Aula Magna del Liceo - Ginnasio “G. Verga” il ”Museo Archeologico”, dove gli alunni e i collaboratori raccolsero dei reperti, rinvenuti nel territorio circostante. Oggi, molte terrecotte del IV e del III sec. a.C. e un elmo corinzio, sopravvissuti ai bombardamenti e alle razzie dei soldati inglesi durante la seconda guerra mondiale, sono conservati nel Museo Archeologico del Castello Normanno.
Alla morte del Rev. Prof. Vincenzo Vinci, Sovrintendente alle antichità di Adernò, il Prof. Luigi Perdicaro gli successe nella carica per la salvaguardia dei monumenti artistici del paese.
Convinto fascista e promotore della “raccolta dell’oro” per la Patria, organizzava delle conferenze fasciste nei Circoli di Adernò e stimolava anche gli alunni ad effettuare “comizi rionali” ogni sabato pomeriggio, “sabato fascista”. Fu sostenitore incrollabile dell’antico nome “Adranon” di Dionigi il Vecchio che portò avanti, attraverso conferenze ed articoli. Scrisse nel “Giornale d’Italia” e fu corrispondente del “Touring club” con una campagna di sensibilizzazione delle autorità e del popolo per cambiare il nome del nostro paese da Adernò in Adrano, che si concluse nel 1928, quando l’Amministrazione comunale decise di avanzare la petizione a Roma.
Il 27 giugno 1929, con un decreto personale di Mussolini, si ripristinava il vecchio nome di Adrano, dal dio greco Adranon, con grande gioia del popolo.
Il testo del decreto fu fatto incidere dal Perdicaro e dal Podestà di quel tempo, il Cav. Ufficiale Pietro Ciancio, sull’architrave della porta destra del Palazzo Bianchi, ma nel 1945 fu cancelIato dal comitato antifascista adranita.
Dopo la seconda guerra mondiale, nell’agosto del 1943, fu arrestato dagli AngloAmericani e rinchiuso nel campo di concentramento di Priolo. Appena liberato, amareggiato per la condotta di alcuni concittadini marxisti, abbandonò il suo amato paese e si stabilì a Catania, dove insegnò per alcuni anni al Liceo Ginnasio. Morì a Catania nel 1960.
Non è possibile stabilire con esattezza quanto abbia scritto il Prof Perdicaro, perché la sua produzione letteraria fu in gran parte manoscritta o pubblicata in riviste storico-letterarie e politiche nazionali. Si sono salvati alcuni suoi articoli pubblicati nel” Giornale d’Italia” e nell’Annuario scolastico del Liceo - Ginnasio G. Verga 1928/29.
I titoli principali sono:
- Adernò ha ripreso il suo vetusto e glorioso nome di Adrano, articolo pubblicato i1 20 agosto 1929 nel “Giornale d’Italia”
- Cenno storico sulla città di Adrano e Biografia di ex allievi morti in guerra, articoli pubblicati nell’Annuario scolastico del R. Liceo - Ginnasio G. Verga 1928/29. L’ultimo articolo raccoglie le biografie di Giovanni Alì, Michele Esposito, Alfredo lnsinga, Nunzio Inzerilli, Giannino e Salvatore Sangiorgio, ex liceali adraniti caduti nella guerra 1915-18. Sempre nello stesso Annuario sono inseriti i due racconti:
- I cani di Adrano e La diavolata, presentati con il titolo Principali tradizioni della città.
E’ da ricordare inoltre una “Breve storia del R. Liceo-Ginnasio”, documentata con la citazione dei decreti del Ginnasio, del Magistrale e del Liceo adranita. La città di Adrano deve molto a questo suo illustre concittadino, ha diffuso la storia di Adrano e la sua civiltà e si è impegnato nella realizzazione di un Museo Archeologico, oggi gloria e vanto degli Adraniti.
ANGELO LA NAIA
Pittore - scultore
Angelo La Naia nacque in Adrano il 14 novembre 1884 da Antonino e Maria Rosa Costanzo. Appartenne ad una famiglia di umili origini. Fin dalla giovane età dovette aiutare il padre, essendo il maggiore di tre fratelli e pur praticando quotidianamente le faticose attività campestri, nella fanciullezza e nell’adolescenza, non trascurò di dedicarsi al disegno. Questa sua inclinazione, fu incoraggiata dal prete - pittore Nicolò Lauricella e dal più celebre pittore di Adrano, Giuseppe Guzzardi, di cui il La Naia si deve considerare suo discepolo. Con sacrifici personali, frequentò una locale scuola d’arte, istituita dal “Circolo Democratico – Barone Benedetto Guzzardi”. Dopo aver completato gli studi artistici ad Adrano, acquistando le tecniche basilari per la pittura a olio e ad affresco, approfondì gli studi sulla plastica e sulla scultura, specie in bronzo e grazie alla scuola del pittore Giuseppe Guzzardi, il quale pur risiedendo a Firenze, spesso ritornava in Adrano dove aveva modo di apprezzare le qualità in campo artistico del discepolo. Il giovane Angelo La Naia, confortato da tale giudizio, si trasferì a Firenze dove trovò ospitalità presso due sorelle orfane, con una delle quali, Emilia Bellati nacque un legame amoroso ed ella fu l’ispiratrice di tutte le opere d’arti che il La Naia realizzò in Toscana. Solo due giorni prima della morte della Bellati cioè il 14 giugno 1968, il La Naia la sposa.
Si affermò presto nell’ambiente fiorentino, e fu incaricato docente di disegno all’Accademia delle Belle Arti di Firenze. Seguirono numerose e positive recensioni dei critici d’arte nonché incarichi di prestigio, tra cui la direzione dei restauri all’edificio michelangiolesco della Biblioteca Laurenziana. Morì a Firenze il 16 giugno 1968 a 84 anni. Numerose sono le pitture, le sculture e gli affreschi custoditi nelle chiese e in molte case private, sia in Adrano che in Toscana e nelle principali gallerie d’Italia, essi documentano l’instancabile attività di Angelo La Naia. Citiamo, il monumento funebre della madre Maria Rosa Costanzo e del cugino Neri Nicolò; il busto in bronzo di Giuseppe Guzzardi suo maestro, collocato nella villa comunale, il busto in bronzo del giovane tenente Alì, deposto accanto a quello del Guzzardi, il Monumento ai caduti nella guerra 1915/18 collocato oggi in piazza A. Diaz. Il La Naia fu anche ottimo ritrattista, un esempio sono i ritratti del Circolo degli Operai, che ritraggono personaggi storici molto noti come: Giordano Bruno, Mario Rapisardi, Garibaldi, Vitt. Eman. II, Cavour e Mazzini. Onorò il nostro S. Nicolò Politi con un trittico, esternando così la profonda fede nel suo concittadino. Il “trittico” fu eseguito a Firenze fra il 1924 e il 1927, le cui tele raccontano tre episodi della vita miracolosa di San Nicolò Politi, quali: “Apparizione dell’Angelo a Nicolò Politi”, “San Nicolò entra nella grotta dell’Aspicuddu” e “San Nicolò orante davanti alla grotta dell’Aspicuddu”. Purtroppo il trittico non è esposto integralmente in una sola chiesa, due delle tele sono collocate nell’absde della Chiesa Madre e una tela nella Chiesa di S. Agostino. Da attenzionare anche la tela che si trova nella Chiesa del Rosario, “Apoteosi di Santa Teresa del Bambin Gesù, sempre dipinta a Firenze e inviata gratuitamente al Sac. Antonino La Mela.
Il Monumento ai caduti nella guerra 1915/18 collocato oggi in piazza A. Diaz è la più importante scultura del La Naia. Commissionatogli probabilmente dalle autorità locali, in un primo momento realizzò il bozzetto su creta, poi eseguì l’opera, che venne collocata nella località ”Vigne di Corte” oggi Giardino della Vittoria nel 1925. Il monumento bronzeo, che poggia su una base piramidale, è composto da due fanti con elmetto in testa, nudi nel corpo, sorretti da una Nike alata con corona e che sovrasta i due robusti militi, i quali fissano al suolo l’insegna classica di Roma con la scritta: S.P.Q.R. Il movimento plastico della massa bronzea, come anche le muscolose membra dei due fanti si rifanno ad uno stile classico. Grande interesse suscita la Vittoria Alata, che con le sue ali racchiude e corona la significante scultura. Nel 1974 il monumento bronzeo venne traslocato al centro di piazza Diaz.
DIONIGI LA MELA
Sacerdote - pittore
La Mela Carmelo, noto come Padre Dionigi, nasce ad Adrano il 23 Ottobre 1911. Dopo gli studi secondari nel corso dei quali dimostrò una spiccata attitudine alla pittura e all’architettura, dal 1937 al 1941 frequentò l’Accademia d’Arte Sacra “Beato Angelico” di Milano. Quindi a Napoli seguì un corso di specializzazione di pittura presso l’illustre prof. Passarini, raggiungendo il massimo della perfezione tecnica e stilistica e riuscendo ad assumere una vera personalità.
P. Dionigi non potè continuare a dedicarsi all’arte, poichè in seguito agli eventi bellici nel 1940 dovette partire come Cappellano militare nella guerra 1940/44, sicchè per molti anni non prese mai in mano un pennello.
La sua sensibilità per le pitture non si era tuttavia sopita e quanto nel 1949 venne chiamato dai superiori a Messina, ebbe subito l’incarico di decorare il risorgente Tempio della Madonna di Pompei, in cui spiccano i quattordici pannelli della grande navata che narrano i punti salienti della storia evangelica “I Misteri del Rosario”.
Eseguì contemporaneamente altri lavori, alcuni dei quali si trovano nella stessa chiesa di Pompei, altri sono stati donati ad istituti religiosi.
Nello stesso periodo espletò l’attività di architetto, dedicandosi ai progetti e alla direzione dei lavori di arredamento del Tempio. Realizzò molti disegni dell’Altare maggiore, del pulpito, dei pavimenti ecc.
Nel settembre 1955, i superiori, consapevoli delle sue capacità artistiche, lo invitarono ad allestire l’abside del Tempio e il lavoro, sebbene diverse volte interrotto, venne portato felicemente a termine nel dicembre dello stesso anno.
La grande scena del catino rappresenta l’incoronazione della Vergine e la Gloria degli Angeli e dei Santi e chiude il ciclo dei quattordici “Misteri”. L’artista anche se non si attiene alla rigidità scolastica dell’arte rappresentativa, riesce veramente a realizzare un’opera sincera e attribuendo un significato non solo mistico, ma anche universalmente umano (Gazzetta del Sud 26/01/1957). Altre opere pittoriche si trovano nelle chiese di Messina e di Adrano.
Morì nel convento di Catania il 28 Giugno 1984 e la salma fu trasferita nel cimitero comunale di Adrano.
VINCENZO BASCETTA
Sacerdote - politico
La vita politica della nostra città” nella prima metà del XX secolo, fu dominata dalla grande personalità di Padre Vincenzo Bascetta, che spese la sua vita a favore delle classi più disagiate e che operò concretamente per migliorare l’economia del nostro paese. Nacque in Adernò il 24 luglio 1879, sesto ed ultimo figlio dei coniugi Salvatore e Maria Cariola che vivevano delle modeste risorse del loro piccolo podere.
Vissuto in un ambiente profondamente cristiano, intraprese la via del sacerdozio, entrando nel seminario di Catania, dove si distinse per intelligenza ed altruismo. Il giovane era amato dai compagni perché divideva con loro tutto quello che riceveva dalIa famiglia e animava la vita del Seminario con attività ricreative.
Nel 1902 fu ordinato Sacerdote, con dispensa pontificia, per mancanza d’età e subito dopo venne nominato rettore delle due chiese di Gesù e Maria e S.Leonardo. Nel 1904 iniziò la sua attività sociale a favore dei “campagnoli”, che avevano difficoltà economiche e fondò la Cassa Rurale “San Nicolò Politi” o “Padre Musco”, dove la povera gente poteva usufruire di mutui e prestiti a basso interesse. La Cassa Rurale ebbe talmente successo che in pochi anni permise al religioso di investire le finanze in aree edificabili, terreni agricoli, acque di irrigazione, costruzione di nuovi canali, riuscendo a debellare ogni forma di usura.
Così gli affittuari, i mezzadri, i giornalieri di campagna, liberati dai prestiti dei datori di lavoro, riuscirono ad acquistare il “fazzoletto di terra” per vivere onestamente.
In seguito alla legge sullo spezzettamento del latifondo del 1922, Padre Bascetta, tramite la Cassa Rurale, acquistò i feudi “Miraglia”, “Ragona”, “Canalotto”, “Vituro”, “Passozingaro”, “Cannatella”, “Baronessa” e li distribuÌ tra i soci che, attraverso canali di irrigazione, li trasformarono in fiorenti agrumeti, uliveti, mandorleti e pistacchieti.
Nel 1908 fu tra i primi a portare aiuto materiale e spirituale alla popolazione di Messina, provata da terribile terremoto.
Durante le epidemie di colera (1911), della spagnola e del vaiuolo (1918-20), Padre Bascetta soccorse le famiglie e si preoccupa di trasportare anche i morti al cimitero, quando il personale addetto si rifiutava per paura del contagio.
Per questi atti umanitari ottenne parecchi attestati di riconoscenza e fu nominato Cavaliere d’Italia e Commendatore.
Intraprese l’attività politica a fàvore dei poveri e dei deboli e nel 1908 fu eletto Consigliere comunale. Seguace di Don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare, nel 1914 fu eletto pro-sindaco di Adernò e contemporaneamente Consigliere provinciale ottenendo tanta stima dai cittadini che lo confermarono per 10 anni.
Nelle elezioni del 1921 Padre Bascetta fu eletto sindaco di Ademò e tale rimase fino al 1923. Tra gli atti amministrativi deliberate durante la sua amministrazione politica spicca la realizzazione del monumento ai caduti della guerra del 1915-18 e l’acquisto del terreno attiguo al Monastero di S.Lucia per l’ampliamento della vìlIa comunale, opere di seguito realizzate dal Cav. Chiavaro. Approvata la legge fascista nell’aprile 1924, in base alla quale i due terzi dei seggi parlamentari sarebbero stati assegnati al partito che avesse ottenuto almeno il 25% dei voti, furono indette le elezioni.
Padre Bascetta ebbe il coraggio di sfidare il nuovo regime, presentandosi con una lista propria del Partito Popolare Italiano, del quale fu segretario a vita.
Durante la campagna elettorale del ’24, da cui emerse il Partito Fascista, si verificarono dei contrasti tra i due maggiori schieramenti politici che il coraggioso prete sedò sempre con grande umiltà.
Con il crollo della Borsa di New York nel 1929, anche l’Italia fu coinvolta nella grave crisi economica. Il governo fascista, allora, per dare all’economia un indirizzo unico a carattere nazionale, unificò tutti gli enti economici e sociali e varò la famosa quota 90, l’operazione finanziaria che mirava a rivalutare la nostra moneta rispetto a quella straniera. Tali iniziative, però, inflissero un duro colpo alle casse rurali e aggravarono la già difficile situazione economica italiana, determinando un aumento del costo della vita e disoccupazione.
Anche la Cassa Rurale Di Padre Bascetta, non potendo accontentare i clienti che richiedevano il denaro, fu dichiarata fallita.
Padre Bascetta, accusato di bancarotta fraudolenta, fu arrestato e subì la condanna al processo di primo grado, ma dopo sei mesi di ingiusta carcerazione, fu assolto e scarcerato.
Si ritirò, quindi, nella sua chiesa di S.Leonardo, dove svolse la missione sacerdotale con zelo e dedizione, sempre attento alle esigenze della povera gente.
Dopo la caduta del fascismo, Padre Bascetta istituì il Comitato di liberazione e fondò una cooperativa di consumo, dove si potevano acquistare a prezzi ridotti non solo generi alimentari di prima necessità., ma anche sementi, concimi e attrezzature per facilitare la ripresa dell’attività agricola.
Tramite la cooperativa agricola “Giacomo Maggio”, recuperò e distribuì tra la popolazione più disagiata circa 1000 ettari di terreno (Forte, Grottafumata, Casotte). Negli anni ’50 Padre Bascetta continuò la sua attività politica, costituendo in Adrano la sezione della Democrazia Cristiana, nata dal vecchio Partito Popolare.
Padre Vincenzo Bascetta fu anche poeta in lingua italiana e in dialetto siciliano, scrisse “Liriche”,”Poesie Sparse” e “Poesie Varie”, ma non sono state pubblicate. Mori povero, in Adrano, il 16 agosto 1959.
Quanti ebbero la fortuna di conoscerlo, lo ricordano ancora non solo per l’attività politica e le doti umanitarie, ma anche per le sue arguzie e le sue risposte salaci che conquistavano la simpatia della gente.