La Storia

Le origini

Descrizione

Origini del nome

Il nome Adranon secondo alcuni studiosi è di origine orientale, mentre secondo altri di origine italica.
Sembra, comunque, che Dionigi, fondando la città, l’abbia chiamata Adranon in riferimento al grande nume siculo, dio della guerra.

I greci associarono il dio oltre che alla guerra, anche al fuoco, identificandolo con Efesto.
Secondo lo storico Adolf Holm furono attribuite ad una sola divinità notizie riguardanti due diverse divinità e, per questo motivo, Adranon riunì in sé sia il carattere di dio della guerra, indicato dalla lancia, che quello di dio del fuoco, proprio di Efesto.

Secondo la leggenda il dio Adranon, venerato anche in altre località siciliane, era seguito da un corteo di mille cani, che accoglievano festosamente gli ospiti, ma sbranavano i mentitori ed i ladri.
Giovanni Sangiorgio Mazza, illustre storico adranita, affermava che parti dell’antico tempio del dio Adrano, che era stato edificato dai fondatori nei pressi della città, si trovassero nell’orto di Cartalemi; ma un possessore della località Cartalemi, tale Domenico dell’Erba, le avrebbe distrutte, assieme a vasi, monumenti ed altri preziosi beni storici.
In età romana e latina il centro abitato si chiamò Hadranum; nell’età saracena Adarnu o Adarna, nella normanna Adernio ed Adriano, nell’angioina Adernò.
Nel 1929 fu definitivamente chiamato Adrano.


Origine della città

Il pendio dell’Etna è stato abitato fin dal neolitico inferiore. Le zone di maggiore insediamento sono sempre state due: quella tra le colline vulcaniche a nord-est dell’odierno abitato e la rocca e la zona nei pressi del Simeto.

Verso il X secolo a.C. s’insediarono in entrambe le zone colonie di Siculi; nella “città del Mendolito” presso il fiume, attorno al centro abitato vi era un veneratissimo tempio di fango e legno. Mendolito, che sviluppò una raffinatissima civiltà del bronzo (vedi l’efebo ed il banchettante), ci ha lasciato, oltre alla cinta muraria, le porte e le tracce di capanne, una necropoli dalle caratteristiche sepolture a cupoletta (forse d’ispirazione micenea) e le più lunghe iscrizioni sicule della Sicilia nord-orientale. L’abitato, comunque, era già in netta decadenza intorno al secolo V a.C.


I Greci

La città greca di Adranon fu fondata nel 400 a.C. ad opera di Dionigi il Vecchio di Siracusa per rafforzare l’egemonia siracusana nella zona.
Il possesso di Adranon, infatti, poteva consentire il controllo del Simeto e della città sicula di Centuripe, che si ergeva su una altura presso la sponda opposta del fiume.
La conquista da parte di Dionigi fu molto cruenta e comportò la deportazione della popolazione.
Nel 344 a.C., durante l’inarrestabile marcia di Timoleonte di Corinto verso Siracusa, nei dintorni di Adranon si combatté una battaglia che vide le truppe di Timoleonte sbaragliare quelle di Iceta, tiranno di Leontinoi.

Dopo la battaglia, si narra che Timoleonte fu accolto con clamore dalla città di Adranon.
La città durante il periodo di Timoleonte ebbe un notevole benessere e vi fiorirono scuole di pittura vascolare di meravigliosa fattura (vedi vaso dell’Ermitage).
Dopo Timoleonte, durante i domini di Agatocle, Agatocle II, Arcagato e Gerone, fu sovente saccheggiata dai Mamertini. Nel 263 a.C. Adrano fu conquistata dall’impero romano ed inclusa, in seguito, tra le civitates stipendiariae, tra quei centri della Sicilia costretti a versare un tributo a Roma. Espugnata dal console Valerio con ottomila fanti e seicento cavalieri, fu trattata assai duramente: le case rase al suolo, gli abitanti passati alla spada ed il territorio consegnato agli “aratores” di Centuripe, che vi costruirono le proprie masserie. Nel 139 a.C. gli schiavi, unendosi ad Euno, si ribellarono e saccheggiarono le proprietà dei signori centuripini. Euno , che si era arroccato, oltre che nella roccaforte di Adrano, anche in quelle di Enna e Taormina, nel 131 a.C., dopo anni di eroica resistenza, fu sconfitto ed i suoi seguaci furono massacrati. La “pace romana” tornò a regnare ed Adrano per molto tempo fu considerata solo come territorio di Centuripe. Durante il periodo delle invasioni barbariche Adrano fu sottoposta a frequenti saccheggi, tranne che al tempo di Teodorico (493-526) per il buon governo di Cassiodoro. Cattiva sorte ebbe ancora durante il dominio bizantino, quando le catene furono di nuovo strette ai villici, tenuti in stato di servitù.


Saraceni e Normanni

Il dominio bizantino ebbe termine con l’occupazione saracena ad opera dell’emiro Musa verso la fine dell’anno 950 d.C., quando Adrano era ridotto ad un misero villaggio di capanne.

I saraceni si insediarono accanto alla Cuba ove fu edificata la residenza del Caid (capo militare, giudice, esattore e sacerdote), mentre gli adraniti si ritirarono verso est. Gli occupanti cambiarono il nome di Adranon in Adarnu o Adarna ed eressero una fortezza detta “Salem”. Furono abbastanza tolleranti, economicamente assai attivi e fondarono o ripopolarono diversi casali, tra i quali quello di Bulichiel, al centro di fiorenti giardini, terre di seminerio e vigne. Usarono su larga scala le acque sia per mulini, gualcherie e tintorie, che per l’irrigazione delle colture cerealicole ed arboricole, come gli ortilizi, i fichi, i mandorli, i sicomori o gelsi neri per “nutricare” il baco da seta. Venivano coltivati pure il lino e la canapa. I saraceni, inoltre, per primi misero sul Simeto, nei pressi della contrada di Mandarano, una zattera o giarretta per il traghettamento del fiume. La conquista di Adrano da parte dei normanni iniziò nel 1075 con l’assedio del casale di Bulichiel da parte di un drappello di cavalieri guidati da Ugo di Yersey.

Nonostante l’eroica resistenza del Caid Albucazar, il casale venne occupato e ciò segnò anche la resa di Adarna da dove i cristiani erano corsi verso i normanni, accogliendoli come liberatori. Adrano fu compresa nella diocesi di Catania, retta dal monaco Ansgerio. Secondo il padre Aprile il conte Ruggero donò Adrano al figlio Goffredo e suoi successori la governarono, mentre secondo il Pirro costituì la dote di Adelicia, figlia di Rodolfo Macabeo. Il territorio, comunque, chiunque fosse il signore, era retto da un vicecomes (governatore) e da uno stratigoto (giudice criminale), che era anche castellano della fortezza. Nel periodo normanno Adrano continuò il progresso iniziato con i saraceni. La comunità adranita, che integrava abitanti di origine greca, saracena e normanna, era costituita da abili agricoltori ed artigiani, specie nell’arte della seta e della concia delle pelli.


Svevi e Angioini

Il periodo svevo segnò per Adernò, come per tutta la Sicilia, l’inizio di intolleranze, di egoismi municipali, di lotte di potere. Fu soprattutto rovinosa la persecuzione dei saraceni, costretti a ribellarsi ed a fortificarsi, sotto la guida di Mirabetto, a Troina, Entella e Centuripe, dove convennero anche i saraceni di Adernò. Nel 1225 furono sconfitti ed in gran parte massacrati; i superstiti furono deportati e confinati a Lucera.

Durante il dominio svevo si verificarono per Adernò tre fatti significativi: la città ed il suo castello divennero il covo della famiglia di avventurieri dei conti Bartolomeo, che depredarono con violenza i beni della chiesa, finché non furono vinti e banditi da Federico nel 1209; la distruzione di Centuripe, rispetto alla quale ancora Adernò non si era liberata da un senso di inferiorità, e la deportazione dei suoi abitanti ad Augusta; la comparsa in città di un accattone dal nome Giovanni Calcara, che, somigliantissimo a Federico II, faceva credere, assecondato ed usato dagli interessati, di essere l’imperatore tornato dall’altro mondo per invitare i popoli al ritorno all’obbedienza alla chiesa e la reazione di Filangeri, che, constatando il pericolo che costui rappresentava per Manfredi, lo catturò e lo fece impiccare a Catania assieme ai suoi seguaci.

L’imperatore Federico, comunque, pacificatosi con i messinesi nel 1233, diede in “retturia” il casale a capitani di Messina, che divennero la classe dominante (vedi il sostrato di cognomi messinesi come Crisafi, Galifi, Crisà, Marullo, Milazzo, Di Salvo, ecc.). Adernò risentì molto delle lotte tra Angioini e Svevi. Prima passò, come gran parte della Sicilia, sotto il governo di Carlo I d’Angiò, poi di Corradino, fino a quando nel 1258 il Papa scomunicò Corradino e lo stesso venne decapitato a Napoli. Capece, seguace di Corrdino, si rifugiò a Centuripe, ma fu assediato dagli Angioini ed alla fine fu catturato, accecato ed impiccato. Da allora Adernò passò dalla dominazione della famiglia Lancia a quella della famiglia Maletta. Il casale, che era stato fiorente al tempo dei Normanni, si ridusse, con gli Angioini, ad un misero abitato in balia dei peggiori predatori. Il numero degli abitanti passò da circa mille a circa trecento.


Gli Aragonesi

Tutto il periodo angioino e quello aragonese almeno fino a Federico IV, detto l’Imbecille (1377), fu un graduale scivolamento verso l’anarchia per il prevalere della prepotenza disgregatrice della nobiltà, che da un lato tendeva a togliere potere ai sovrani a proprio vantaggio e dall’altro ad impedire la crescita della borghesia commerciale e forense.

I “mastri artigiani” stavano dalla parte dei nobili e contro i piccoli contadini ed i braccianti.
Nonostante Pietro III fosse stato invocato come un liberatore, anch’egli continuò a vessare le popolazioni con l’alibi di dover cacciare gli Angioini.
Adernò diventò feudo del cavaliere catalano Garzia De Linguida, ma nel 1286 fu concessa a Luca Pellegrino, un funzionario del re Giacomo.
La figlia di Pellegrino, Margherita, sposò Antonio Sclafani di Palermo.
Matteo Sclafani, figlio di Giovanni e Margherita Pellegrino, fu nominato conte di Adernò e di Centorbe. Costui, uomo ricchissimo, fu pirata e mercante di schiavi e divenne anche signore di Ciminna, Chiusa e Sclafani.

Fu, per altro, devoto del monastero di S. Maria di Licodia, a cui donò nove salme di frumento annuali. Dalla prima moglie ebbe una figlia che diede in sposa a Guglielmo Raimondo Moncada; dalla seconda una seconda figlia che diede in sposa a Guglielmo Peralta di Caltabellotta.
Mentre abitava a Palermo in un sontuoso palazzo, Adernò, povera ed indifesa, venne prima occupata da Roberto d’Angiò e successivamente dai latini guidati da Ruggero Tedesco.
Dopo essere sfuggito nel 1352 ad un agguato mortale, Matteo Sclafani morì due anni dopo.
La sua morte scatenò una contesa per la successione, che fu composta solo dopo 43 anni: i Peralta rinunciarono ai loro diritti a favore di Guglielmo Raimondo III Moncada, che lasciò al fratellastro Antonio (1355-1377) la contea di Adernò e Centorbe.
In quel periodo i Papi Urbano X e Gregorio XI con la scusa di togliere le interdizioni alle città siciliane imposero tassazioni più che esose.
Antonio Moncada lasciò la contea di Adernò al nipote Giovanni Raimondo, che parteggiava per la regina Bianca di Navarra (1410-1416).


I Vicerè

Dal 1412 al 1515, sotto i viceré, furono padroni di Adernò Giovanni Moncada (1414-1454), Giovanni Raimondo IV Moncada (1454-1466), Giovan Tommaso Moncada (1466-1501), Guglielmo Raimondo V Moncada (1501-1515) e Antonio III Moncada (1511-1549).

Giovan Tommaso Moncada restaurò la torre di Adernò, che da allora prese il nome di castello, e la fece circondare con un bastione; fece progettare la chiesa di S. Sebastiano; invitò a venire ad Adernò i frati minori osservanti di S. Francesco, offrì il feudo di Poggio Rosso per l’insediamento di un gruppo di profughi epiroti, detti “li greci”, che fondarono un piccolo casale, poi Biancavilla, ove si parlava la lingua greco-ortodossa.
Molti familiari di Ramondetta Ventimiglia, sposa del conte Tommaso, costruirono palazzi nel centro di Adrano, uno dei quali diverrà nel XVI secolo sede della congregazione del Devoto Monte di Pietà e nel XIX sede del Municipio.

Il figlio di Tommaso, Guglielmo Raimondo V, che esercitava i poteri di padrone della terra, giudice e capo militare, ottenne dal viceré il privilegio di ripopolare il territorio di Centorbe.
Antonio Moncada fu intollerante di ogni legge e ricettatore di delinquenti ed, in particolare, di una banda di 50 membri capitanati da Mariano Planes di Licodia Eubea.
In questo periodo si costituì il nucleo amministrativo di Adernò attorno al quartiere della “Piazza”, composto da funzionari di ceto nobile.
I più importanti erano: il capitano di giustizia, i 4 giurati, il tesoriere, il giudice civile, il giudice criminale, l’archivista, il mastro notaro, il castellano e il governatore del conte.
A questo periodo risale anche la chiesa di S. Antonio Abate col meraviglioso polittico, opera forse del pittore Salvo Di Antonio.
Con i successori di quest’ultimo, Francesco Moncada e Luna e Francesco II (1550-1592), ebbe grande impulso l’edilizia religiosa: fu ingrandita la chiesa di S. Maria Assunta, fu progettata la matrice a tre navate, si diede inizio alla costruzione del monastero di S. Lucia nuova, si fondò la chiesa della Catena. Adernò adesso toccava i seimila abitanti, essendosi accresciuta di un terzo rispetto ai primi del secolo.
Era cresciuta una robusta classe di borghesi ed agricoltori, che avevano dato impulso alla produzione del grano ed all’allevamento del bestiame, anche se la classe nobiliare manteneva esosi privilegi, come quello di tenere schiavi.
Sotto il principato di Don Antonio Aragona e Moncada e di Luigi Guglielmo Adernò era un immenso cantiere per fabbriche ecclesiastiche e per palazzi (come quelli degli Spitaleri nel quartiere “Gurgo”, dei Ciancio nel quartiere S. Pietro, dei Guzzardi e dei Campo nel quartiere della “Piazza” e della Catena). Solo nel 1693 l’edilizia ebbe un arresto a causa del terremoto.


La città dal 700 al 900

DAL ‘700 AL 1820 La rovinosa guerra che ebbe il suo culmine nella battaglia di Francavilla del 1819, quando gli spagnoli furono battuti dagli austriaci, fu per Adernò causa di grandi malanni, di razzie e di violenze. Al breve dominio piemontese (1713-1720) successe il dominio austriaco che si caratterizzò per l’esosità fiscale. Solo verso la metà del ‘700, con l’avvento dei Borboni, la situazione agraria ed economica in generale andò migliorando. Anche la popolazione ricominciò a crescere. Nel 1794 Adernò contava 6.623 abitanti e 750 proprietari laici, 12 religiosi e 33 forestieri. In questo periodo nella città iniziò la coltura intensiva dell’ulivo e la produzione dell’olio e si costruirono la nuova chiesa di S. Lucia, i “damusi reali” e il teatro, si istituì la fiera di S. Lucia, si “basolarono” le vie principali. Adernò si candidava a diventare capoluogo di circondario e sede di giudice regio, come di fatto avvenne nel 1819.

DAL 1820 AL 1860 In questo periodo, con varie colorazioni e motivazioni, si succedettero tumulti e rivoluzioni. Nel 1820, a seguito della rivolta scoppiata a Palermo, a Biancavilla, Bronte ed in parte Adernò si svilupparono forti agitazioni sociali e furono costituiti comitati provvisori a sostegno del colonnello Pietro Bazan, che aveva concentrato il grosso delle forze della Sicilia orientale a Troina. Il comitato di Adernò fu, però, presto sgominato e la città divenne una roccaforte dei Borboni con le “squadre punitive” capitanate da don Francesco Palermo. Tra i reazionari più attivi si distinse il giudice Giovanni Sangiorgio Mazza.

I moti furono presto sedati e la mano della reazione colpì i rivoltosi, fino a quando, negli anni ’30, il movimento antiborbonico riprese vigore per culminare nel ’48 in una vasta ribellione di dimensione regionale. Gruppi di volontari di Adernò, guidati da don Pietro Cottone, e di Biancavilla, guidati da don Angelo Biondi, accorsero in soccorso di Catania, alloché i Borboni, dopo aver occupato Messina si diressero verso la città etnea. Ma nulla poterono contro i cannoneggiamenti del generale Nunziante, che dopo avere preso Catania, occupò anche Paternò, Biancavilla ed Adernò. Il 1849 fu l’anno della pesante reazione, che durò fino al 1860, nonostante i focolai di rivolta che covavano per la mancanza di lavoro, la denutrizione e le spaventose condizioni igieniche.

DAL 1860 AI PRIMI DEL ‘900 L’avvento di Garibaldi in Sicilia con “la spedizione dei mille” accese molte speranze tra gli uomini di fede liberale e tra i patrioti, ma non risollevò le sorti delle classi più deboli. I moti contadini per avere la terra furono anzi repressi dai garibaldini.

Il 1° luglio 1860 fu costituito in Adernò un Consiglio Civico presieduto da don Lorenzo Ciancio. Sindaco in quell’anno era don Nicola Guzzardi Minissale. Mentre era sindaco il barone don Giuseppe Pulia, furono quotizzate alcune terre comunali, si assegnarono 18 onze per il mantenimento del teatro, si inaugurò il liceo comunale. Dal 1862 al 1867 furono costruiti 8 fanali per l’illuminazione pubblica, furono lastricate la via Garibaldi e la via Nuova, si creò un passeggio in un tratto della Vigna di corte, si avviarono le trasformazioni di case religiose in un ospedale, un asilo di mendicità, una scuola tecnica, un ufficio per le imposte, un ospizio femminile, un asilo infantile e scuole elementari, si costruì una strada che arrivava allo stradone di Bronte. In questa periodo le coltivazioni prevalenti erano l’agrumeto, l’uliveto ed il vigneto. Dal verbale di una seduta del consiglio comunale del 1866, mentre era sindaco Nicolò Valastro, risulta che Adernò era superiore a tutti i comuni circostanti per ricchezze private, per commercio, per agricoltura, per gli edifici, per la stazione telegrafica ed elettrica, per la sede dei carabinieri e per quella giudiziaria. Questo, tuttavia, non aveva mutato granché le condizioni dei ceti poveri, che furono colpiti da epidemie di colera, tifo, difterite e vaiolo nero. Da qui i frequenti tumulti, giustificati dalla fame, e il fenomeno del brigantaggio. Uno dei tumulti più significativi scoppiò nel 1898 e fu sedato da un lato con l’acquisto di grano per fornire di pane le botteghe e dall’altro con l’intervento del Prefetto. Il sindaco Antonio Inzerilli programmò diverse opere pubbliche che consentirono di occupare 651 muratori, 36 scalpellini, 760 manovali, 120 carrettieri e 1.165 terraggieri. Nei primi decenni del ‘900 si diffusero le idee socialiste e quelle del riformismo cattolico.

Negli anni ’20 operò con notevole efficacia ad Adernò l’energico prete riformista don Vincenzo Bascetta, che, collaborato dal giovane professore Carmelo Salanitro, antifascista morto nel ’45 nel campo di concentramento di Mauthausen, si distinse per le sue iniziative mutualistiche a favore dei piccoli contadini. La sua azione consentì la trasformazione di interi feudi coperti di lava in fiorenti agrumeti, oliveti e mandorleti.

Ultimo aggiornamento: 28/08/2024, 13:00

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