Descrizione
Nella contrada Mendolito, a otto chilometri dell’odierna Adrano, si trova l’area della più estesa, e al tempo stesso più evoluta, città anellenica della Sicilia: la Città Sicula del Mendolito.
L’insediamento si sviluppò su un terrazzo basaltico presso la riva orientale del Simeto, su una superficie di circa ottanta ettari.
Le eccellenti possibilità di approvvigionamento idrico e la fertilità dei suoli vulcanici giustificarono la scelta e l’occupazione del sito nell’antichità.
La città colpisce soprattutto per la sua grande estensione: ottanta ettari, un’area vastissima, superiore anche se di poco, a quella di Megara Hyblaea e addirittura doppia di quella di Naxos.
Il centro del Mendolito sviluppò una raffinatissima civiltà del bronzo e, oltre la cinta muraria, le porte e le tracce di capanne, ci ha lasciato una necropoli dalle caratteristiche sepolture a "cupoletta", e inoltre ci ha conservato le più lunghe, seppure non ancora spiegate, iscrizioni sicule della Sicilia nord-orientale.
"Uno dei massimi centri dell’archeologia indigena della Sicilia": così Bernabò Brea definì la città del Mendolito, alla luce delle preziose testimonianze archeologiche ritrovate.
L’insediamento era già noto fin dal XVIII sec. da Vito Amico e tuttavia l’importanza della località si svelò agli studiosi soltanto alla fine dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento, attraverso l’opera di un erudito locale, il prevosto Salvatore Petronio Russo che identificò nel sito l’antica città Simaethia.
La contrada fu ripetutamente visitata in seguito dall’archeologo Paolo Orsi, grande studioso trentino, che nel primo sopralluogo al Mendolito il 2 aprile 1898, vide subito l’importanza del sito: capitelli scolpiti in pietra lavica, terrecotte architettoniche, vasi, iscrizioni.
Nel 1908 all’interno di una grande giara dentro il perimetro urbano, nel fondo Ciaramidaro, fu rinvenuto casualmente un ripostiglio di bronzi databile tra la fine dell’VIII e la prima metà del VII sec. a.C.,Il deposito è il secondo in Italia per quantità, ed è costituito prevalentemente di pani di bronzo (sorta di lingotti), di splendidi cinturioni bronzei in lamina sbalzata, forse ornamento di armature e di armi da guerra, di asce, coltelli, fibule. Fu dapprima disperso nel mercato antiquario e poi acquistato da Paolo Orsi per conto del Museo Archeologico di Siracusa.
Numerose le ipotesi avanzate riguardo la presenza di un così cospicuo lotto di metalli in una città indigena: la più recente è che il deposito fosse riferibile ad una fonderia connessa ad un santuario, probabilmente sotto il controllo politico della comunità indigena.
Dall’area del Mendolito proviene anche una statuetta bronzea raffigurante un banchettante, piccolo capolavoro di età arcaica (530 a.C.), il celebre "Efebo".
Custodito ed esposto presso il Museo archeologico regionale “Paolo Orsi” di Siracusa fu ritrovato in contrada Polichello. L’efebo di Adrano è un bronzetto alto 19,5 cm in stile severo, del 460 a.C., che raffigura un atleta nudo, attribuito da alcuni studiosi a Pitagora di Reggio, il grande scultore autore di diverse statue di atletici, forse emigrato da Samo in Magna Grecia agli inizi del V secolo a.C. oppure ritenuto copia, in scala, di una sua opera.
Le prime campagne di scavo effettuate nel 1962-1963 dalla Soprintendenza Archeologica di Siracusa (sotto la direzione di Paola Pelegatti) nella città del Mendolito, hanno riportato alla luce alcune case arcaiche, la porta urbica e si è potuto esplorare un tratto della cinta muraria, fortificazione interamente realizzata impiegando pietrame lavico non sbozzato.
La fortificazione doveva circondare la città sui lati Nord, Sud ed Est, lasciando sguarnito il lato occidentale, difeso naturalmente da alte pareti rocciose.
Lo scavo ha liberato la porta urbica meridionale protetta da due torri con pianta a ferro di cavallo databile alla seconda metà del VI sec. a.C. Il ritrovamento nel vano della porta, compreso tra le due torri, di uno strato di tegole di copertura cadute fa ipotizzare la presenza di una sorta di tettoia al di sopra dell’apertura tra i due bastioni.
Nello stipite orientale della porta era inserito il famoso blocco in arenaria, oggi conservato presso il Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” di Siracusa, recante un’importante iscrizione in lingua anellenica (non greca). Si tratta di una scriptio continua graffita da destra a sinistra sulla faccia esterna del blocco. Disposto in due righe e ad andamento sinistroso, è il più lungo ed importante testo siculo finora conosciuto, ancora di controversa interpretazione e databile alla seconda metà del VI sec. a.C.
Tipiche del centro siculo sono anche alcune sepolture delle necropoli sud ritrovate nella contrada Sciare Manganelli. Si tratta di tombe cosiddette a tholos, piccole costruzioni circolari di pietra lavica a cupola, forse di lontane ascendenze elladiche, con corredi riferibili a più deposizioni.
Durante le ricerche furono individuate 15 tombe costituite da un unico ambiente di forma circolare o ovale al quale si accedeva attraverso un breve dromos (corridoio). Le tombe erano costruite direttamente sul banco lavico e risultavano destinate ad accogliere più individui appartenenti quasi certamente alla stessa famiglia.
Altri dati si possono desumere dagli scavi condotti dalla Soprintendenza di Catania nel 1988-1989, durante i quali si sono messe in luce nuove porzioni di abitato. E’ stato individuato un grande edificio allungato a pianta rettangolare, disposto in senso Nord-Sud e diviso in quattro ambienti di diversa estensione, separati da tre muri divisori interni.
I muri erano realizzati completamente a secco con impiego di pietre laviche di diverse dimensioni. L’edificio doveva essere coperto da un tetto rivestito da tegole di terracotta. L’adozione della pianta rettilinea e l’utilizzo di un tipo di copertura stabile dimostrano l’acquisizione in età arcaica, da parte di questo e di altri centri indigeni della Sicilia, di tecniche edilizie di tipo greco, più idonee a garantire l’isolamento delle abitazioni dagli agenti atmosferici esterni. Prima dell’arrivo dei Greci, infatti, le popolazioni indigene erano solite abitare in capanne a pianta ovale o circolare, provviste di coperture fatte in materiale deperibile (paglia e fango).
Quasi nulla purtroppo si conosce degli edifici di culto e di carattere pubblico, nonostante al Museo di Adrano siano esposti alcuni importanti elementi architettonici in pietra lavica. Si tratta di tre capitelli, di cui uno ispirato allo stile dorico e due a quello ionico, e di alcune porzioni di colonne a sezione ottagonale. Inoltre da ritrovamenti di superficie sono noti vari tipi di antefisse. Le più numerose sono quelle a testa femminile, ma non mancano esemplari a protome leonina e gorgonica.
Si potrebbe ipotizzare la presenza di qualche edificio di culto o di carattere pubblico nel settore meridionale della città antica all’interno della cinta muraria, in prossimità della porta urbica.
Solo il proseguimento delle indagini, potrà dare una risposta ai numerosi interrogativi posti da questo insediamento siculo, i cui dati di scavo sembrano fissare la piena fioritura nel VI sec. a.C.
Resta inesplorato, infatti, l’impianto urbano, le aree sacre, ancora ignoto il nome, anche se qualcuno, con il conforto della numismatica, ha voluto identificarlo con l’antica città indigena di Piakos. Ancora da precisare, infine, i rapporti con la città greca di Adranon, l’insediamento nato nel 400 a.C., per volontà, secondo Diodoro Siculo, di Dionigi il Vecchio, a pochi chilometri di distanza, su un’altura sovrastante il corso del Simeto.
L’operazione che porta alla nascita di Adranon, il cui sito si trova nell’abitato dell’odierna Adrano, è certamente di grande valenza strategica e segna il rafforzamento dell’egemonia siracusana nella zona. Tra gli scopi primari il controllo della corso del Simeto e quello della città sicula di Centuripe.
Il sito prescelto fu quello in cui sorgeva da tempo il santuario di una tra le più potenti divinità sicule, Adranos.